martedì 31 dicembre 2013

Fai una lista

Giorni fa ho rivisto Remo.
C’è un vecchietto qui al mio Paese, Remo, che credevo fosse morto da un pezzo. E invece no, è vivo.
Quindi sono felice, sì, insomma, hippy hippy urrà per Remo, però è anche vero che non succede mai niente in questo paese. 
Passano gli anni e niente, non succede mai niente. Anche a Remo, per dire. 

Forse è proprio vero che per far succedere qualcosa bisogna fare qualcosa.
Ci vuole solo un po’ di organizzazione.

Eh, a me quella mi ha sempre fregato: pensate che quest'anno sono riuscita ad attaccare l'unica decorazione natalizia che ho, un Babbo Natale da terrazzo, il 26 Dicembre. E poi non son nemmeno sicura di averlo attaccato io. 

FLASHBACK 

8 dicembre,
- Robi, hai già preso dal garage il babbo Natale?
- Sì sì. No preocupe.

15 Dicembre,
- Robi, il babbo Natale?
- Sì, sì, adesso lo attacco.

20 Dicembre,
- Robi.
- Sì, sì, c'è tempo, c'è tempo.

24 Dicembre,
- Roberta!
- Tranquilla.

26 Dicembre.
- Chi ha attaccato il Babbo Natale in terrazzo?
- Sarai stata tu, Robi.
- Ah sì. Certo. Io.

Da quest'anno voglio cambiare: disciplina e organizzazione.  
Anche se non so ancora bene cosa voglio fare non mi importa, mi basta sapere solamente che ci riuscirò: disciplina e organizzazione.
Sì. In questo 2014 farò così, sto già preparando una lista di tutte le cose che voglio fare: sono ferma a “devo fare una lista” della mia lista. Yea.


Auguri a tutti, anche a Remo :)

blog umoristico, umorismo, LOL, 2014, anno nuovo, buon anno, fine anno, capodanno, Yea, auguri,


martedì 24 dicembre 2013

Auguri

È oggi che si deve essere felici?
Sì, insomma, è il periodo giusto?
No perché, vi dirò, io quest’anno lo sono.

Non sarà un Natale perfetto, anzi forse è proprio quello in cui ho meno da festeggiare, sapete com’è che succede: si cresce e si perdono per strada i pezzi. 

E poi il lavoro e la crisi. E tanto non cambia mai niente. E fa tutto schifo. E tutte quelle cose lì che conoscete già tutti che se ci penso bene mi viene da stare male,

situazione sentimentale: scusa, come hai detto che ti chiami?
Chili persi: tranquilli, li ho ritrovati tutti.
Autostima: no.
Fortunata al gioco: dici tu, almeno quello? Eh. Comunque è no.

Però quest'anno ho imparato una cosa importante. 
Che fa molto, ehi, adesso è arrivato il momento “oh capitano, mio capitano” e tutti salgono in piedi sui banchi, prima uno, il più timido di tutti, poi il secondo e il terzo e il quarto e alla fine quasi tutti perché hanno capito. 

E invece no, qui è un po’ più come nella realtà e la cosa che ho capito è molto banale e quando la senti dici “eh, tutto qui?”. 
E tu rispondi "sì, tutto qui", ed è che tanto ti mancherà sempre qualcosa.

Che è un po’ brutta detta così ma a pensarci bene è proprio quello che significa. Ti mancherà sempre qualcosa, niente sarà mai perfetto come te l’eri immaginato e allora tanto vale essere felici per quello che si ha. 
Ecco, tutto qui, questa è la mia rivoluzione. 

Però non sto dicendo che cambia tutto adesso. La mia vita. Io. Per questa cosa, intendo. No, sto dicendo che è tutto uguale a prima e non cambierà. Che mancherà sempre qualcosa per me, ma che va bene lo stesso, va bene così, ho tutto quello che mi serve. E ce l’abbiamo tutti.
Quindi basta con questo cinismo delle feste e anzi, vi faccio i miei migliori auguri e spero che passerete questo Natale con le persone che amate, io lo farò. E se ci vedremo sarò ancora più felice. E basta, tutto qui. 

Auguri. 


Il video è di http://awkwardfamilyphotos.com/

martedì 17 dicembre 2013

Erano i tempi dell'università

La cosa più giusta che ho fatto nella vita è il non aver fatto quel corso sulla memoria che un tipo incontrato per strada definiva come miracoloso.

Erano i tempi dell’università: io giravo disperata per via Zamboni e avevo in faccia quell’espressione da “ma cos’è che devo fare oggi?!” ed era proprio quello che pensavo.

La sera prima ero sempre molto pronta e sicura di me,
“allora Roberti’, domani ti svegli presto, vai a lezione in Auala A, poi al seminario di storia a San Giovanni in Monte, torni al 33 e vai a parlare con quello di semiotica e gli domandi, appunto, cos’è questa semiotica e infine niente, ti metti a studiare che il 2 c’hai un esame”.

Poi la mattina mi svegliavo e nulla, sparito tutto tranne un grosso, enorme, mastodontico,
ma cos’è che devo fare oggi?!” stampato in faccia. Vuoto totale.
E i giorni passavano così.

Poi d’improvviso una luce nel buio. Anzi no, una voce sotto i portici di via Indipendenza vicino ad Altero,
- Ciao, come ti chiami?
- Roberta.
- Ciao Roberta, hai mai pensato che i tuoi studi sarebbero molto più facili se la tua memoria fosse migliore?

Boom. Così, dal nulla.
Eh infatti sì, gli dico io, ecco cos’era. 

Viene fuori che si chiama Lucio e che lui tiene ‘sto corso per la memoria.
Roberta, un corso miracoloso. Roberta, ti ricorderai tutto con facilità, Roberta. Vedi che mi ricordo il tuo nome, secondo te come faccio? È stato il corso: chiaro, no. 

Certo.
- Dimmi 37 numeri che te li ripeto tutti.  
- Sì.

E niente me li ha ripetuti tutti e 37. Sì insomma ne ha detti 37, non so se erano quelli che ho detto io per prima perché ovviamente io non mi ricordavo nemmeno il perché stessi dicendo tutti quei numeri. Però che mi chiamassi Roberta, Lucio, se lo ricordava, quindi mi sono fidata: mia mamma mi chiama Giovanna, fate un po’ voi. 

Poi lo guardo fisso negli occhi e in un attimo mi passa davanti tutta la vita che non mi ricordavo di aver vissuto: l’infanzia nella stanza più piccola della casa, quella destinata alla secondogenita. Le elementari e le medie e gli anni del bullismo che per fortuna sono finiti: adesso sono molto più indulgente con le persone e non picchio quasi più nessuno. Il liceo e credetemi quando vi dico che il liceo proprio no. E poi l’università, via Zamboni, i torni la prossima volta, hai pulito il bagno? Era il tuo turno. Hai fatto la spesa? È arrivata una bolletta, allora quando ti laurei? Hai dato l’esame? Era oggi l’esame? Quanto hai preso all’esame? Ma ancora devi dare questo esame? 18? Le tue amiche si sono laureate?

E poi il futuro,
allora come va il lavoro? E il fidanzato che dice? E i figli li fate? Ma quando vi sposate? E la casa la comprate? E il mutuo te lo danno anche se sei sola? E la pensione?

E sulla pensione ho avuto proprio paura ho guardato Lucio e poi, subito dopo, la mia mano sinistra con quella linea della vita, sottilissima e breve che è proprio la mia sicurezza e ho cominciato a ridere.

E rido ancora adesso perché ho fatto proprio la cosa giusta a non aver fatto quel corso sulla memoria miracoloso di Lucio e sono fiera di me (quando me lo ricordo) perché è sempre meglio preferire l’oblio.

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martedì 10 dicembre 2013

Non ho tempo da perdere

Questo martedì sarò molto breve perché, credetemi, non ho tempo da perdere.
Una sola idea, precisa ed espressa in maniera chiara e concisa. Pulita.
Nessun strascicamento, nessuna storiella divertente che poi non fa nemmeno tanto ridere. 
Nessun “come quella volta quando io”, no, niente di niente. 
Un concetto e basta. Boom. Stop. 

Io trovo davvero molto ingiusto che esistano al mondo persone più giovani di me. 

Finito. Questo è quanto.

Sono seria.

È scorretto.
È scorretta questo tipo di conversazione,

- Roberta ci pensi tu a mandare questo FI. A. ICS. che io non so nemmeno come si fa?
- Il FAX intendi?
- Sì, boh, c’è scritto FI. A. ICS. Non so nemmeno come si chiama, LOL
- LOL?
- Sì, LOL, vuol dire che fa ridere. LOL, non sai cosa vuol dire LOL. LOL.

Ammetto che forse io con questa cosa dell’età non ho mai avuto un buon rapporto, tutta colpa di quel Vanni, un vecchietto qui, del mio Paese, che quando mi incontrava per strada mi chiedeva l’età. Ogni volta. E faceva quella cosa che forse sarà capitata anche a voi,

- Quanti anni hai Roberta?
- Sette.
- Ah, vai per gli otto, allora.

- Quanti anni hai Roberta?
- Tredici.
- Ah, vai per i quattordici, allora.

- Quanti anni hai Roberta?
- Venticinque.
- Ah, vai per i ventisei, allora.

Peccato io non possa più fare lo stesso con lui,
- Quanti anni hai Vanni?
- Ottanta.
- Ah, vai per gli ottant/

Un vero peccato, Vanni. Vero? Vero, Vanni? Vero?

Va be’, direte voi, Vanni a parte, non puoi proprio farci niente, Roberta. Le persone nascono e hanno continuato a farlo anche dopo la tua di nascita. 

E invece no, io ho risolto: ho deciso che non esistono persone nate dopo gli anni ’80. Sono solo una di quelle storie inventate per spaventare la gente. Per esempio, i ragazzi che sosterranno la maturità quest’anno, nel 2014, sono del 1995. Fa paura, vero? 
Lo so. 

Date retta a me, non esistono, è meglio. Ce la possiamo fare, è semplice. 

E se Kikka97 mi chiede l’amicizia penso “però, gagliarda la nonnetta”. LOL.

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martedì 3 dicembre 2013

La vita è una sola


Come suoneria della sveglia ho messo una canzone di Jovanotti, 
una abbastanza ritmata per dirla tutta e adesso ogni volta che la sento, che sia in macchina, al supermercato o in palestra, mi viene un gran sonno: ciao a tutti, sono il cane di Pavlov.
Non vedo altra spiegazione.

No, comunque non so voi ma io in questo periodo ho un sonno assurdo.
Non so cos'è: sarà l'aria, sarà il freddo, sarò io che son lagnosa.

Non ho mai avuto così sonno come ho sonno in questo periodo. Anche quella volta che ho detto di avere un gran sonno, in realtà, non avevo così sonno come ho sonno in questo periodo.

Anche per scrivere questa frase mi sarò addormentata come minimo tre volte. Anche voi, non è vero? 

Questo mi fa ricordare, non senza malinconia, quando ero giovane e partecipavo a dei veri e propri tornei di dormite. Lì sì che ero la numero uno, non avevo rivali e anche i miei avversari l'avevano capito,
- oggi son riuscita ad addormentarmi al cinema.
- Io alla partita della Juve.
- E chi non riuscirebbe?
- Ah. Ah. Ah. (L'ironia dei partecipanti a questi tornei è tutta particolare). 

Bei tempi quelli: ogni giorno per me era una nuova sfida,
"mi son addormentata in classe".
Con la voglia di spingermi oltre i miei limiti,
"mi sono addormentata in macchina".
Fino ad arrivare alle situazioni più pericolose,
"mi sono addormentata in piscina". 
Poi ho dovuto prendere una pausa.

Ah, che energia che avevo, se solo ci ripenso adesso sono stanca.
Ma la voglia di dormire mi è rimasta. Immutata da allora.

Avete presente quelle canzoni 
"e tu dormi ancora un po', non svegliarti amore no" 
oppure, "dormi qui tra le mie braccia-ah" 
o a anche, " veglio su dite, non svegliarti, non svegliarti, non svegliarti ancora"? 

Ecco, io risponderei sempre "va bene amore mio, ma spegni quella musica".

Perché infondo la vita è una sola e poi, quando muori, non puoi più dormire.

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martedì 26 novembre 2013

In catene


Voi dovevate vedermi,
che sicurezza,
"sì, ma ho le catene",
che padronanza,
"sì, ma ho le catene",
Anche nella voce, nessuna esitazione,
"sì, ma ho le catene".

E il poliziotto che mi ha fermato,
"eh signorina, queste non sono gomme termiche e qui non potrebbe circolare",
non ha potuto dirmi niente,
"sì, ma ho le catene".

Dovete sapere che quando i poliziotti mi fermano vado subito in ansia e assumo quell'espressione tipica da,
"ho un cadavere nel bagagliaio". 
"Un cadavere di un ricercato". 
"Un ricercato che ha della droga nelle tasche". 
"Un nuovo tipo di droga potentissima". 
"Fatta con le lacrime di bambini".
"Bambini orfani". 

E insomma non vado avanti che tanto ci siamo capiti qual è quella tipica espressione, no? 
Perché fateci caso quando i poliziotti ti fermano sai sempre che hai qualcosa che non va nella macchina: un faro che non funziona bene, una gomma sgonfia, il tergicristallo bloccato, non hai rinnovato l'assicurazione da cinque anni. 
Piccole cose insomma ma per me, per come sono fatta io, è solo ansia.

Come quella volta che ero da sola in macchina: vi racconto la scena perché tra l'altro potrebbe essere anche divertente.
È notte, strada deserta ed ecco che vedo dietro me la volante della Polizia. Premetto che sapevo di avere una lucina rossa, quella dei freni, rotta. 
E già ansia. 
Adesso mi fermano, adesso mi fermano. 
Chiudo gli occhi, no, meglio di no, gli riapro e tutto si colora di blu: hanno acceso il lampeggiante. 
Stavo meglio con gli occhi chiusi. 
Panico, ci sono solo io: vogliono me. 
Vado avanti, non rallento. Accendono la sirena. Faccio finta di niente e continuo per la mia strada. Mi affiancano e mi fanno cenno di accostare.

Io mimo, "chi? Io?" 
Loro mimano, "sì, tu".
Io mimo, "perché?" con il classico gesto della mano che fanno gli americani per descrivere noi italiani e che noi italiani diciamo "ma quando mai: non è vero che facciamo così con la mano" facendo proprio quel gesto con la mano.
Loro con più decisione mimano, "accosta".

Va bene, accosto.
Scendono dall'auto, si avvicinano, mi dicono di abbassare il finestrino, io allora aziono una freccia, suono il clackson due volte e lampeggio, quando finalmente trovo il pulsante del finestrino,

- signorina.
- Sì?
- Ha un faretto dietro che non funziona.

Ora qui voi dovete immaginarvi il "no" più lungo e falso di tutta la vostra vita.
- Nooooooooooooooooooooooooooooooooo

Un urlo disperato, straziante. Poco credibile. E tutto perché ero in ansia. In ansia da poliziotto. 
Che poi questa cosa che ho appena raccontato è una di quelle che fa ridere solo se si è presenti. Capito quali? Che tu racconti e credi sia divertentissima e ti accorgi che nessuno ride. 

Bene, comunque ritornando alle catene ci dovevate essere: per la prima volta ero tranquilla.
Nessuna incertezza, nessuna inflessione, nessun indugio.
"Sì, ma ho le catene". 
Sembravo una che poi quando nevica le sa mettere.

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martedì 19 novembre 2013

Postcard from Heaven


Anche se molto probabilmente ha il tasso di omicidi più alto al mondo voglio andare a vivere a Cabot Cove. 
E dovreste venire anche voi.

Per prima cosa finisce sempre tutto bene, 
Jessica Fletcher ride, 
Jessica Fletcher ammicca,
Jessica Fletcher diventa cittadina onoraria, 
Jessica Fletcher in età avanzata riceve una proposta di matrimonio, che solo questa cosa dovrebbe spingerci a lasciare tutto e trasferirci per sempre perché se riesce a beccare lei a Cabot Cove, figuriamoci gli altri. 

Poi, fateci caso: se andate in tutte le agenzie di viaggio presenti sulla faccia della Terra, i biglietti per Cabot Cove li vendono sempre di "sola andata". Perché evidentemente si sta bene, no?! 

Del resto c'è lavoro per tutti, c'è lo sceriffo, il tenente, l'appuntato e il colonnello. C'è il fornaio, il panettiere e il piazzaiolo. 
Il pescivendolo e il pescatore, il cacciatore e il boscaiolo: io non ho mai sentito di Mike il disoccupato o di Jennifer, la povera ragazza che non riesce a trovare un lavoro. Mai.
E poi ognuno è caratterizzato da un segno inconfondibile: tipo lo sceriffo ha il cappello da sceriffo e il cuoco quello da cuoco e così via, che nessuno si permetterebbe di chiedere 
"scusa che lavoro fai?" 
Nemmeno ad un blogger, perché son sicura che a Cabot Cove i blogger sarebbero caratterizzati da qualche cappello che se lo vedi da lontano dici, 
"toh arriva Franklyn, il blogger". 
E nessuno quindi direbbe, 
"scusa Roberta, Social Media che?" 
Perché tutti gli abitanti di Cabot Cove a differenza dei miei genitori avrebbero già capito cosa c'è dopo il Media e ci sarebbe un cappellino all'uopo. 

E poi tutti si conoscono e sono gentili. Usano sempre termini ricercati e per dire "gioco" dicono "giuco" e per dire "denuncia" dicono "denunzia" e a me sembra di stare in paradiso tanto più che potresti morire da un momento all'altro e andarci proprio, in paradiso.

E comunque anche questa cosa degli assassinii poi è superabile perché muoiono solo i cattivi: fateci caso, chi muore è sempre il corrotto o un ricattatore. 
Lo sappiamo perché il colpevole confessa: deve farlo, perché è attanagliato dai sensi di colpa o per scagionare il primo che è stato accusato di omicidio al posto suo ma non è, e la Fletcher ovviamente lo sa, lo ha capito. 

E questo mi fa pensare che sono tutti molto buoni, o molto stupidi si intende, e spesso la differenza fra queste due cose è così sottile da non riconoscersi più. Niente, ogni volta che vogliono uccidere qualcuno, nessuno pensa mai a far fuori per prima la Signora Fletcher. No, imbastiscono omicidi perfetti degni del più feroce genio del male e non si preoccupano mai di sbarazzarsi dell'unica persona che è sempre riuscita a risalire all'identità di ogni omicida. 

Sarà colpa di quella loro memoria, un giorno un certo Jack aveva fatto fuori tre persone, non una, tre, che anche la signora Fletcher si era stupita e rammaricata di non essere arrivata prima alla soluzione del mistero. 
Passano nemmeno cinque episodi e questo Jack si ripresenta con un altro cappello e un altro nome, William, e nessuno lo riconosce,
"ma quale William signora Fletcher, questo è Jack ha solo cambiato cappello", gridi tu da casa ma loro niente, gli vogliono bene come se fosse la prima volta che lo vedono. Perché quelli di Cabot Cove sono così.

Cabot Cove è il posto ideale per vivere, basta solo non morire i primi dieci minuti.

Blog Umoristico, Umorismo, LOL, Cabot Cove, Jessica Fletcher, Sheriffo

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martedì 12 novembre 2013

Ti sta bene


Voi mi direte,
ti sta bene!
E io vi dirò,
sì, lo so, mi sta bene.

Perché è una cosa che ti insegnano fin da piccoli i tuoi genitori, i nonni, le maestre, i vicini di casa, gli spacciatori, tutti,
"non andare nella sala d'aspetto del dottore nel periodo autunno/inverno". 
Te lo insegnano insieme al "non toccare nulla nei cessi dell'autogrill", "non cambiare gestore telefonico, soprattutto non fare mai un contratto tramite telefonata" e recentemente "a svuotare la cache" come risposta al,
- non mi si vede niente, ho anche aggiornato.
+ Hai svuotato la cache? Svuota la cache.

Non ci andare nella sala di aspetto di un dottore a Novembre, a meno che tu non stia per morire, in quel caso, certo, vai, altrimenti stanne alla larga.

Io oggi sono entrata con una banalissima tosse e credo di aver contratto il tifo. 

Nelle sale d'aspetto, in questi periodi, stanno tutti male, che secondo me puoi andarci anche se stai bene e aspettare, perché una visita a quel punto è meglio che la fai visto che ti ammali lì, nella sala d'aspetto.

Tutte cose che già sapevo ma come spesso mi accade, in barba alla conoscenza, sono andata ugualmente. 

È che ero molto preoccupata per questa tosse: tre giorni e ancora non passava.
Ché io magari dico spesso che voglio morire ma alla fine vado in crisi se mi viene un mal di gola.

Ero lì che stavo guardando la tv, tutta in ansia per questa tosse, quando ho fatto 'sto pensiero,
"smetti di essere giovane quando gli unici esami che ti impensieriscono sono quelli medici".
Un pensiero da vecchi, vero? 
Eppure posso assicurare che il mood agée lo desse non tanto il pensiero in sé quanto il plaid sulle gionocchia, io sulla sedia a dondolo e Chi l'ha visto? in sottofondo alla tv.

Eh direte voi la vecchiaia è sinonimo di saggezza e invece nel mio caso no, perché è proprio in quel momento del plaid e della sedia a dondolo e di tutte quelle cose lì che ho deciso di andare nella sala d'aspetto. 
Almeno il dottore mi rassicurerà, mi sono detta.

E quindi vado. Aspetto. Ed entro. 

- Dottore ho la tosse.
+ Ah, bene, è più secca o grassa?

Ma come? Io rischio la vita nella sala d'aspetto e lo chiede a me?! 
Io speravo almeno che me lo dicesse lui visto che io ho la tosse e lui una laurea in medicina. 

Poi va a finire che era tosse grassa.

Niente, torno a casa e mi rimetto sotto al plaid almeno fino al,

- dottore, non mi sento molto bene, ho di scuro preso qualcosa quando aspettavo qui da lei.
+ Ah bene, ma è più tisi o morte? 

Eh.

Lo so che è esagerata come cosa, ma l'ho detto che sono ansiosa, poi da quando il responso è stato tosse "grassa" non potete capire. 
Dai, non si può: caro dottore, tosse grassa lo vai a dire a qualcun'altra. 

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martedì 5 novembre 2013

In Italia

Ero lì, da me, in campagna, con tutta la legna pronta per accendere il camino quando arriva la Franca, 

"Oh, hai sentito che è uscito il nuovo libro di Fabio Volo?"

Proprio così mi fa e continua,

"è uscito la scorsa settimana".
"No, non lo sapevo", faccio io.
"Eh", fa lei.
"Eh", rispondo io.

"Eh, è già primo in classifica", insiste la Franca.
"Ah", rispondo io.
"Già", rincara lei.
"Ma tu pensa", ribatto io.

"Si chiama La strada verso casa", mi dice lei.
"La strada verso casa?", domando io.
"Esatto, La strada verso casa", risponde lei.
"Ah", faccio io
"Mmm", replica lei. 
"Però", dico io.
"Eh", afferma lei.
"Già", faccio io.

"Racconta la storia di due fratelli e un inconfessabile segreto di famiglia", va avanti lei.
"Ah. Però", dico io.
"Già", fa lei.
"Tu pensa", dico io
"Sì", dice lei.
"Già", faccio io.

"Però è proprio vero che in Italia giusto Fabio Volo può fare fort/"

"Eh no", faccio io senza farle finire nemmeno la frase che sono stufa di sentir parlare male di Fabio Volo e dei suoi libri e che in Italia solo Checco Zalone e tutte quelle cose lì che sappiamo tutti.

"Eh no, cara mia, è tutta invidia la tua perché lui vende. E qui in Italia son tutti invidiosi. Magari scrivessero tutti come Fabio Volo. Magari, guarda. Troppo facile dir male di Fabio Volo. E di tutte le sue opere. Troppo facile". 

E qui avrei voluto dire che è ora di finirla di fare gli intellettuali di Sinistra ma non me la son sentita ché adesso andar contro la Sinistra è più facile che andar contro Fabio Volo e quindi ho detto radical chic che è sempre il caso di dirlo.

"Sempre a voler fare questi intellettuali radical chicChe poi magari scrivessi io come Fabio Volo. Oh l'ho detto, guarda. Proprio così e non me ne vergogno: magari scrivessi io come Fabio Volo, ci metterei la firma. Certo, ora non voglio dire che darei una gamba per scrivere come Fabio Volo. Forse nemmeno un braccio. Ma una mano sul fuoco la metterei. 

Ecco, sì: metterei la mano sul fuoco per scrivere come Fabio Volo mentre tengo in mano il libro di Fabio Volo.

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martedì 29 ottobre 2013

Una storia dell'orrore


"Guarda che la Lalla non è morta",

dico a mia madre entrando nel salotto senza neanche salutare, lei sembra non capire e mi guarda accarezzando la zucca con la mano. 

Non la testa. 
La zucca, l'ortaggio. 
Perché tra un po' è Halloween.

E allora io continuo.

"La Lalla, ti ricordi? Mi avevi detto che era morta e, invece, l'ho appena vista guidare la macchina". 

"No, Roberta, la Lalla è morta purtroppo".
Risponde mia madre serena.

E allora io insisto.

"Ah va bene che adesso la patente la danno proprio a tutti, ma ehi, devi essere perlomeno viva a quanto mi ricordi. E la Lalla lo è, mamma".

"No ti dico".

E così continuo ancora un po' perché sapete com'è quando si pensa di aver ragione!?

"L'ho appena vista, è solo tornata al nero. Oh strana comunque questa cosa che passa dal nerissimo al bianco di capelli da un giorno all'altro. Comunque è vivissima. Ah, certo, a meno che non sia un fantasma. Uh. Uh. Uh". 

Ed è a questo punto che forse ho cominciato ad esagerare come fa chi pensa di aver ragione.

"Il fantasma della Lalla, direttamente dall'oltretomba proprio ad Halloween e la cosa più paurosa, mamma, è che hanno le Smart. Uh. Uh. Uh".

E allora mia madre risponde senza scomporsi troppo come fa chi ha ragione.
"Quella è la gemella". 

E viene fuori così che esistono due Lalla. 
In realtà esiste una Lalla e una Lella, le due gemelle. 
Lalla e Lella. 
E che sono sempre state gemelle, pensate. 
E che io, e solo io, ho sempre pensato fossero la stessa persona.

Ed ecco spiegati tutti quei cambiamenti di colore nei capelli.
In realtà una è sempre stata bianca e quell'altra, invece, preferiva la tinta nera.
Certo questo spiega anche il perché quando incontravo la vecchina in bianco mi salutava e quando invece incontravo quella in nero, no.
Per intenderci insomma, la Lalla bianca sapeva il mio nome e mi diceva di passare a casa sua che aveva messo a raffreddare la crostata di mirtilli mentre la Lalla nera chiamava la polizia se solo provavo ad avvicinarmi al suo balcone e ai mirtilli non pensava proprio.

Tutto questo per dire cosa?
Oltre al fatto che non ho un buon senso dell'osservazione, a quanto pare, e anche per rettificare a chiunque abbia mai detto "sì, io l'ho conosciuta una persona bipolare" con "no, non ho mai conosciuto una persona bipolare" è che esiste sempre una spiegazione razionale per tutto e che quindi sì, questa cosa di Halloween e della notte dei fantasmi è 'na fregnaccia.

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